domenica 30 novembre 2008

Bossi Junior bocciato, l'ncredibile consiglio di un padano:" In fabbrica per dare l'esempio"



(l'asino padano)

di Paturnio

Vi consiglio la lettura dell'articolo pubblicato su "Il padano.com", in cui si consiglia a Bossi di mandare suo figlio in fabbrica per "dare l'esempio". Nell'articolo sono espressi tutti i concetti base della cultura del padano-tipo,sconosciuta ai più. Un'abisso di ignoranza e di assurdità difficilmente immaginabili, se non le si vedessero scritte. Vi consiglio anche il secondo articolo, molto divertente.

BOSSI JR IN FABBRICA: CHE ESEMPIO SAREBBE…
Caro dottor Ferrari,
ho pensato un po’ alla vicenda, un po' imbarazzante…, del figlio di Bossi pluribocciato e, dopo tutto, ne ho concluso che può essere interpretata come un segno dei tempi. Innanzitutto mi spiace per il ragazzo, che a me sembra finito tra l’incudine e il martello di due puntigli: quello del padre, che ha il noto caratterino!, e quello dei professori, che probabilmente al figlio di Bossi non vogliono regalare proprio nulla, diciamo così… E’ vero che questo nuovo esame fatto apposta per lui è avvenuto alla presenza di un ispettore mandato dalla Gelmini, così ho letto da qualche parte, per garantire l’imparzialità di giudizio, ma, dico io, in ogni valutazione si può usare la manica larga o quella stretta e tutto sarebbe comunque formalmente ineccepibile.

Così io credo che Renzo per passare quell’esame avrebbe dovuto essere uno studente da 7, mentre, se dovessi dare un giudizio ad occhio e croce, mi pare sia un tipo da 6 meno meno meno… Probabilmente quegli insegnanti sono meridionali; a dire la verità anche il giovane Bossi è per metà meridionale, ma il nome che porta può essere oggetto di una discriminazione che va oltre il colorito e il capello crespo. Allora ci voleva una prestazione superiore per mettere a tacere anche l’esaminatore più ostile, ma evidentemente il ragazzo non è un intellettuale o uno scienziato incompreso…

Allora, e qui torno al discorso sul segno dei tempi con cui ho iniziato questa lettera, che bello sarebbe se il padre prendesse la grande decisione di mandare il figlio a lavorare in fabbrica o in campagna! Sarebbe un segnale splendido, per tutti quei giovani padani che non sono tagliati per lo studio (non è mica una vergogna!) e vanno avanti per anni parcheggiati nelle università, così non mettono su famiglia e non fanno figli, contribuendo all’estinzione della Padania.

Caro Ferrari, lei mi dirà che queste cose le va ripetendo da tempo e infatti ho apprezzato molto il suo editoriale su “La falsa istruzione che ammazza la nostra civiltà”; condivido tutto: questa scuola che sforna ignoranti e disoccupati fa perdere il tempo migliore, soprattutto impoverisce la nostra società mettendo in naftalina le forze giovani che servono al ricambio. La Padania per restare viva ha bisogno di contadini ventenni, operai ventenni, padri e madri ventenni, e un giorno che immagino non lontano di combattenti ventenni. Allora spero che Bossi faccia del giovin virgulto un esempio eticamente valido per la gioventù padana: non un portaborse, non un cadregaro, non un “figlio di papà”, non la trota che aspetta di diventar delfino ma un lavoratore di 20 anni, cioè un ventenne vero uomo.

Fabio Giovenzana

Caro Renzo Bossi, forse è meglio studiare
di Tony Damascelli

Avete presente la frase da repertorio: i familiari sono stati avvertiti. Bene, stavolta non trattasi di un dramma, nessuna tragedia. Roba più piccola, tipo pagella, interrogazioni, voto. Il telefono è squillato ieri mattina a casa Bossi, giornata bianca, di neve e polenta, all’ora di pranzo, un carciofo spinoso come aperitivo: chiamata dal liceo Bentivoglio, un cognome non una garanzia, del Collegio arcivescovile di Tradate:«Purtroppo Renzo, vostro figlio, non ha superato la prova orale della maturità scientifica. A risentirci». Fine della comunicazione e dell’appetito. Prevedo che l’Umberto, uomo di parole e di fatti, debba aver cercato lo sguardo dell’erede, per la terza volta respinto all’esame, poi qualcosa dovrà pur avergli detto, lui che negli ultimi giorni, non appena incrociava il Renzo, subito gli sparava una domanda, dal diapason in giù, per saggiarne la preparazione, i tempi di reazione, in breve se avesse studiato o no. Sembrava che stavolta il ragazzo ricciuto ce l’avrebbe fatta, buoni segnali di impegno, sentori di apprendimento, va là che ci siamo, ci sei.
Così l’erede si era presentato al collegio il cui rettore, don Gaetano Caracciolo (tra nome e cognome la Padania sembra più lontana delle isole Faroer), il religioso, dicevo, negli ultimi tempi, aveva recitato qualche rosario supplementare dopo che la famiglia del senatùr si era appellata al tribunale amministrativo per annullare il fallimentare ma poco chiaro esame del ragazzo.
In attesa del verdetto, tuttavia, il buon Renzo aveva ottenuto la possibilità di ripresentarsi. Come prima, più di prima. Non è una canzone, però. Dopo la topica sulla «Valorizzazione romantica dell’appartenenza e delle identità», tesina ispirata al federalismo, al pensiero e alle opere di Carlo Cattaneo, una sorta di autogol casalingo, ecco che Renzo ci è ricascato ma con Albert Einstein, dalla storia alla fisica stesso totale, nonostante la presenza di un osservatore dell’Onu, cioè un ispettore mandato dalla Gelmini ministro, per capire, sapere, controllare che tutto filasse liscio, senza le ombre e i sospetti sollevati dal padre: «Se fossimo al Sud sarebbe già stato promosso», la denuncia, un classico, tanto per sottolineare che gli asini, al di sotto del Po, volano mentre su tirano la carretta. Per dimostrare che trattatasi di complotto e boicottaggio ecco una nuova interrogazione, su una nuova materia di studio.
Niente da fare, cambiando l’ordine dei fattori, della tesi, dei docenti il risultato non è cambiato, Renzo Bossi a casa, bocciato, un nome solo, e nemmeno al comando, sul tabellone dei risultati, una sola sentenza, respinto. Bossi junior, espletate le formalità, esaurita l’interrogazione, un’ora di domande e qualche minuto di risposte, non ha atteso di leggere il quadro con il giudizio, ha preso su, consapevole del nuovo guaio, ed è tornato a casa.
Qualche malignazzo dice che il giovane abbia deciso di dare ragione all’Umberto padre: «Mio figlio un delfino? Per il momento è soltanto una trota», così aveva detto, stracciando gli almanacchi su una staffetta politica di famiglia, senza giri di parole, andando al sodo, come sempre. Se a Napoli ogni scarafone è figlio a mamma sua, qui al Nord la blatta viene sostituita dal pesce d’acqua dolce. Dolce il Renzo lo è di sicuro, la zazzera nervosa e gli occhi veloci fanno impazzire le pupe di ogni frazione e fazione, non soltanto leghista, rispetto al fratello Riccardo non ha voglie di Isole dei famosi, piuttosto vorrebbe essere famoso nel continente nostrano della politica, dove suo padre regna indiscusso. Ma sussiste ’sto benedetto esame di maturità, la scuola privata la pensa come la scuola pubblica, lo scolaro non risponde alle richieste del corpo docente: «Non so che tipo di preparazione abbia svolto, presentandosi come privatista non ha seguito gli studi da noi», aveva commentato il don Gaetano, poco padano di cui sopra che però aveva firmato, nella stessa sessione, il diploma di Davide Ancelotti, figlio di tanto Carlo, un padano a denominazione di origine, sicuramente più preparato, non soltanto in tattica e cross dal fondo, materie quotidiane del padre.
Resta il dubbio, a questo punto, che la trota abbia scelto di finire in padella, oppure di dare ragione a un saggio dell’altro secolo: «Bocciate. Bocciate un po’ di figli del popolo. Che rimanga qualche idraulico» (pensieri e parole di Marcello Marchesi).

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