domenica 12 aprile 2009
TRREMOTO, PARLANO I SUPERSITITI
I superstiti del sisma
"La nostra vita in pericolo in quelle case disastrate"
Ernesto Iacusso, 23enne termolese, è uno studente fuorisede che frequenta Ingegneria all’università dell’Aquila. Si è salvato dal terremoto perchè come tanti quella notte del 6 aprile ha dormito in auto. Quelle case «disastrate e senza niente» che sono state la tomba di tanti studenti come lui. «La percezione del pericolo c’era» dice e nonostante il suo futuro sia ora un punto interrogativo non perde l’ottimismo. «Quello che conta è che sono vivo: la vita è l’unica cosa che non puoi ricomprare».
di Stefano Di Leonardo
Alive. Significa sopravvissuto. Vuol dire sono vivo, sono qua. E’ la prima cosa che dice Ernesto Iacusso, 23enne universitario termolese di stanza a L’Aquila nel corso della nostra chiacchierata. E’ il punto di partenza del racconto della sua vicenda, focalizzata su come il mondo giovanile ha vissuto la tragedia del sisma dello scorso 6 aprile e ancor di più sul perché proprio gli studenti abbiano pagato un prezzo così alto, a partire dalle loro condizioni di vita ed abitative. Ma Ernesto parla col sorriso sulle labbra e gli occhi pieni di vita, turbato ma non certo abbattuto da quello che è successo. Sembra quasi che nei suoi quattro anni di studi al corso di Ingegneria dell’Ambiente e del Territorio nell’ateneo abruzzese, abbia acquisito tutta la caparbietà del popolo aquilano. Ernesto la tua storia comincia un po’ prima di quella terribile scossa di magnitudo 6.3 Richter. «Esatto. La sera di domenica ci fu una prima scossa. Alle 23 circa. Ero in casa con amici, stavamo mangiando una pizza. Abbiamo lasciato tutto com’era e siamo usciti. Siamo andati in piazza Duomo che era strapiena di giovani. Ma c’era un’aria strana. Siamo rimasti in giro per un po’. Poi, io, il mio coinquilino e due delle nostre amiche, ci siamo diretti verso casa nostra, ma non per dormire. In effetti era da mesi che non dormivamo più, si era sempre in ansia». Quindi cos’avete fatto? «Ci siamo sistemati con la macchina vicino la nostra casa, che si trova poco sopra il centro storico, in via Strinella. Abbiamo acceso il computer e con la rete wireless ci siamo collegati ad internet per avere qualche informazione sul terremoto. Mentre eravamo lì, c’è stata un’altra scossa, verso l’una. A quel punto abbiamo deciso una cosa. Non si poteva dormire in casa. Così siamo tornati dentro il palazzo e in fretta e in furia abbiamo preso qualcosa. Io ho addirittura fatto la valigia, perché avevo deciso di ripartire il giorno seguente». Dove avete passato quelle poche ore che vi separavano dalle 3.32? «Ci siamo appostati con l’auto in un posto tranquillo in una zona vicina al Castello. C’era una strana calma in giro». Poi la scossa. «E’ stato terribile. Sentivamo la terra che si muoveva da sotto le gomme della macchina. Le ragazze urlavano e io provavo a calmarle, ma la macchina sembrava quasi volersi cappottare. Non finiva più. Ma la sensazione più agghiacciante l’ho provata appena dopo». Cos’è successo? «Siamo scesi dall’auto e si sentivano dappertutto urla strazianti, rumore di calcinacci che cadevano, una fortissima puzza di gas e allarmi di auto e di case che suonavano impazziti». Cos’hai pensato in quel momento? «Il primo pensiero è stato: vado a dare una mano a qualcuno. Solo che la terra continuava a tremare, si vedevano i lampioni oscillare. Non me la sono sentita. A quel punto ho pensato di chiamare casa. All’inizio le linee erano intasate, ma poi sono riuscito ad avvertire che stavo bene». Cos’avete fatto a quel punto? «Ho chiamato una mia amica che al momento della scossa era al pc e si è salvata non so come. Siamo andati a prenderla con la macchina nel traffico impazzito passando sulle macerie, mentre dai finestrini sentivamo grida di aiuto e vedevamo gente nel panico, chi in pigiama, chi con una coperta. E tutto intorno edifici crollati». Dove vi siete diretti? «Abbiamo pensato subito di andare verso la costa e così abbiamo raggiunto Termoli nelle prime ore del mattino». Come voi, tante persone quella notte non hanno dormito in casa. Ma voi studenti, avevate la sensazione di vivere in edifici non sicuri? «Assolutamente sì. Nel mio caso, io abitavo in una casa costruita una quarantina d’anni fa e a quanto mi hanno riferito è crollata una parte e c’è una grossa crepa su tutto il palazzo. Per fortuna lì non è morto nessuno. Ma in generale le case sono disastrate». Quindi era opinione diffusa ben prima del terremoto? «Beh, innanzitutto va detto che quando ti affittano una casa all’Aquila, ti danno semplicemente il letto, la corrente elettrica e l’acqua. Praticamente nient’altro. Noi abbiamo provveduto da soli ad arredare la nostra. E poi non avevamo nemmeno il salvavita per la corrente elettrica. Ce l’hanno montato e non funzionava. Ma in generale gli appartamenti sono brutti e hanno anche prezzi alti». E a livello di sicurezza? «Posso raccontare della casa di una mia amica. Quando ci camminavamo sopra, il solaio ballava. Guarda caso quella casa è crollata. In un altro appartamento i muri non so com’erano fatti ma se li urtavi facevano uno strano rumore. La percezione di pericolo c’era eccome». I giovani hanno utilizzato molto i nuovi media per condividere la loro esperienza. E’ stato così anche per te? «Sì, soprattutto tramite Facebook. Ho ricevuto tanta solidarietà e un gran numero di persone mi ha contattato per chiedermi come stavo. Una ragazza mi ha scritto: “Come stai? Spero che mi risponderai”». E tu come hai raccontato la tua storia? «Ho scritto semplicemente sul mio status (condizione dichiarata sul proprio profilo di Facebook, ndr) : “Urla, rumore di calcinacci, terrore”. Un mio amico ha scritto “Alive”. Tanti invece hanno preferito “Apocalisse”» E’ servito anche per scambiarvi informazioni? «Certo. Ho saputo di altri amici che fortunatamente sono vivi. Di quelli che conoscevo non è morto nessuno. E poi ho avuto notizie dell’università. So che è stato avviato un sito provvisorio e che anche solo virtualmente, l’università esiste ancora». Come pensi di poter proseguire gli studi? «Non lo so, perché ancora non c’è niente di certo ma solo delle voci. So che ci sono atenei disposti ad ospitarci, come quello molisano. Per ora voglio aspettare che ci dicano cosa faranno di noi, poi deciderò. Dipenderà anche dai miei amici». Sei reduce da una immane sciagura e vivi un’incertezza che tante altre persone vivrebbero con angoscia. E invece sembra quasi che ti scivoli tutto addosso. «E’ vero, adesso non so cosa fare del mio futuro, ma penso che potevo esserci io fra le vittime. Le mie amiche sono ancora scosse, invece io ho reagito. L’importante ora è essere a casa. C’è chi mi dice: “Ho perso il computer nelle macerie”. Ma è un ragionamento che non ci sta. Puoi sempre prendere un pc nuovo, ma la vita non si ricompra».
(Pubblicato il 12/04/2009)
http://www.primonumero.it/attualita/primopiano/articolo.php?id=5111
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