sabato 17 maggio 2008

Ammalati di bugie per non lavorare


16/5/2008 (7:14) - INCHIESTA

Strane malattie per non andare a lavorare

Ecco il libro nero: dall’afonia allo stress domenicale
EMANUELA MINUCCI
TORINO
Il dirigente del Comune di Roma era in malattia. Da mesi: al riparo di un impeccabile certificato medico. Fino al giorno in cui l’hanno visto far lezione. Sì, far lezione, circondato da una folla di studenti adulanti. In aula magna, all’Università: un professore in perfetta forma, vitale, fin istrionico. Qualcuno gliel’ha fatto notare, qualche giorno dopo, al Comune di Roma, ventilandogli pure la possibilità di essere licenziato. Ma ciò non è accaduto. Motivo? L’accademico si è prontamente presentato con un secondo certificato medico, in cui si leggeva, testualmente: «Il contatto con i giovani possiede un essenziale valore terapeutico e consentirà al dirigente di superare lo stato patologico che lo prostra».

Caso più unico che raro? Macché. Bastava partecipare ieri mattina al Forum sulla pubblica amministrazione che si è svolto alla Nuova Fiera di Roma, dal titolo «Storia di un impiegato e di una bomba, il lavoro pubblico e la crisi di credibilità», per scoprire che il dirigente romano è in ottima compagnia. E che il certificato medico facile è uno degli assi nella manica dei vituperati fannulloni contro cui il neo-ministro Brunetta intende scagliarsi. C’è chi, ad esempio, appena sente aria di trasferimento, si fa produrre dal medico curante un certificato ad hoc che lo renderà intoccabile: «Quando si profila lo spostamento da un semplice lavoro alla scrivania ad un lavoro a contatto con la gente - spiegavano ieri al convegno - ecco un fiorire di nuove patologie invalidanti: afonia da sportello, stress da traffico, depressione da lavoro notturno o festivo». Guarda caso, soltanto quando il nuovo lavoro piace meno del vecchio. A Torino, su una base di 35 impiegati che quest’anno dovevano essere spostati dal city manager Cesare Vaciago (ieri in piena bufera, perché ha denunciato che su 12 mila dipendenti il Comune di Torino conta ben 1200 fannulloni), almeno 8 si sono presentati con un certificato medico in cui si dichiara l’incompatibilità del lavoratore con il nuovo incarico.

Tre anni in maternità
Il secondo caso di studio illustrato ieri mattina a Roma riguarda una giovane e brillante funzionaria comunale - con ottima laurea e solido curriculum - che è riuscita ad assentarsi per tre anni consecutivi dal lavoro. Come era riuscita nel miracolo (fra l’altro consentito dalla legge) di eclissarsi per tutto quel tempo? Prima il congedo per maternità, poi i permessi per assistere il bambino nelle prime malattie esantematiche, poi nuovi permessi studio finalizzati alla specializzazione post-laurea, con un sapiente dosaggio di altri istituti contrattuali. «Insomma nulla di illegittimo - ha commentato ieri Pietro Barrera, ex direttore Risorse Umane del Comune di Roma - ma con un effetto finale sconcertante». Il bello arriva dopo, però. L’interessata, chiamata a colloquio, ha confessato che quella scelta era frutto di una logica stringente: «Dopo anni di lavoro in imprese private, grandi soddisfazioni, ma vita dura, ho scelto il buen retiro nell’amministrazione pubblica. Stipendio più basso, limitate chances di carriera, ma la possibilità di sottrarmi al lavoro senza tante difficoltà».

Mai di domenica
Un’altra bella scoperta in materia di certificati bizzarri è toccata al comandante dei vigili urbani di Torino, Mauro Famigli, che qualche mese fa si è visto arrivare un certificato medico in cui c’era scritto che al vigile in questione «nuoceva il lavoro domenicale». Sorride, il comandante: «In tanti anni di professione una giustificazione così non l’avevo mai vista, lo confesso. Ma non è certo l’unica. Ho visto impegnative che spiegavano che il vigile in questione doveva smontare non appena faceva buio».

In galera, ma in organico
L’ultimo eclatante caso, illustrato ieri, non riguarda un certificato facile, ma, con i dipendenti «distaccati a vita per impegni sindacali», merita di essere raccontato. E’ la storia di X, che dal 2003 non si era più presentato al lavoro, ma aveva continuato a percepire regolare stipendio sino al 2007. Com’è potuto accadere? «All’inizio ci fu un provvedimento restrittivo della libertà personale del dipendente - spiega ancora Barrera - insomma finì in galera. Noi lo scoprimmo per caso, nel momento in cui lo convocammo per un adempimento contrattuale. Poi la confusione tra procedimento penale e procedimento disciplinare. Al fondo l’evidente sciatteria di tanti, troppi uffici. Dirigenti che si erano dimenticati di avere un dipendente...».
La Stampa 16 maggio 2008

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