Como | 21 gennaio 2008
Sentenza innovativa "Vederti lavorare mi fa schifo.... Sei una brutta terrona che mi costa 5 euro al minuto e non devi permetterti di perdere tempo ad alzare neppure gli occhi quando ti parlo". Una raffica di insulti che un'imprenditrice comasca quotidianamente rivolgeva ad una sua lavoratrice, tanto da farla precipitare in uno stato depressivo che l'ha costretta a restare a casa prima per una lunga malattia e poi a causa del licenziamento.
La donna si e' rivolta al tribunale del Lavoro, assistita dall'ufficio legale della Cisl di Como e ha chiesto di essere risarcita per mobbing. O meglio per 'bossing' (vessazioni verticali impartite dal capo al dipendente), come sottolinea nel suo dispositivo il giudice del lavoro di Como, Beniamino Fargnoli. Il magistrato con una sentenza del tutto innovativa in giurisprudenza ha riconosciuto colpevole (violazione dell'articolo 2087 del codice civile) Ines Arcioni, titolare e legale rappresentante della Inescrea, un piccolo laboratorio di taglio e cucito con sede nella provincia comasca e attualmente in liquidazione.
La lavoratrice, a causa delle angherie subite per anni sul posto di lavoro e un lungo periodo di malattia, era stata licenziata per superamento del periodo massimo di tutela per malattia. Il giudice a fine novembre aveva stabilito il diritto a un risarcimento dei danni psicofisici e giovedi' scorso (la sentenza e' stata resa nota oggi) ha quantificato in 30mila euro la somma risarcitoria. Ha pure riconosciuto l'illegittimita' del licenziamento, condannando l'imprenditrice al pagamento di altri 20mila euro e all'immediato reintegro della dipendente.
Cosa che, tuttavia, non appare possibile visto che il laboratorio tessile e' in fallimento.
Sentire le testimonianze rese dalle colleghe della lavoratrice, assistita dagli avvocati Cesare Piovan e Paolo Borsani di Como, si ha l'idea di un clima particolarmente teso in quel laboratorio: "eravamo insultate e vessate tutti i giorni - ha detto una testimone che in quel'azianda vi ha lavorato per 20 anni -. Ultimamente il suo carattere era peggiorato: bastava una piccola cretinata e si scagliava contro di noi. Lidia era la piu' bersagliata. Non so come abbia resistito per dieci anni ad essere maltrattata in quel modo".
"Gli insulti nei suoi confronti - ha aggiunto un'altra testimone - erano all'ordine del minuto, non del giorno: ci diceva che eravamo li' solo per rubarle lo stipendio in attesa della pensione e che si era rotta le balle di mantenerci tutte quante e che eravamo tutte degne di andare a battere sui marciapiedi". Una ad una le lavoratrici, una ventina in tutto, hanno trovato un altro posto di lavoro e il laboratorio di taglio e cucito e' andato in fallimento.
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