lunedì 25 febbraio 2008

Cassazione.E' reato dire "Ma che c...vuoi?"

Roma. «Che c... vuoi»: l’espressione triviale tanto diffusa stavolta è finita alla sbarra e viene «multata» come vera e propria ingiuria. A condannarla senza appello sono stati i giudici della Cassazione che sottolineano come l’espressione, «oltre che triviale» è anche «sinonimo di disprezzo dell’uomo e della sua dignità». In particolare, i supremi giudici sono intervenuti sul caso di un 26enne di Potenza, Rocco B., reo di essersi rivolto ad alcuni poliziotti con la fatidica frase: «che c... volete, chi c... siete». Immediata è scatta la denuncia per ingiuria aggravata cui è seguita una multa (nella sentenza 7656 della Quinta sezione penale non si specifica però l’entità) inflitta al giovane dalla Corte d’appello di Potenza nel novembre 2006. Inutilmente Rocco B. (condannato anche per lesioni aggravate nei confronti di uno degli agenti) si è rivolto alla Cassazione al fine di ottenere la cancellazione della multa inflitta per quell’espressione. «Certamente di significato scurrile - ha argomentato la difesa nel dibattimento - ma non idonea a ledere l’onore e il decoro della persona cui era stata rivolta». Ma i giudici di piazza Cavour hanno respinto il ricorso e osservato che la multa non va messa in discussione poichè «legittimamente inflitta». La Corte ha quindi argomentato che la frase rivolta agli agenti, oltre che triviale, «ha una oggettiva idoneità a ledere l’onore e il decoro del destinatario, tanto più nel caso in esame, apparendo evidente il proposito di mortificare l’operato dei poliziotti, apostrofati, nell’adempimento del proprio dovere, con un epiteto che è sinonimo di disprezzo dell’uomo e della sua dignità». In definitiva la Cassazione ha rilevato che è stata ragionevolmente affermata la valenza offensiva dell’espressione «che c... volete».
Il Mattino 24 febbraio 2008

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